Quando infine siamo usciti, le nostre grida sono rimaste chiuse dentro. Abbiamo trovato senza più luce le stelle, ci siamo accontentati di respirare fango.
Queste poesie di Vittorio de Vita esprimono, nel marasma universale, nel vuoto del cielo, l’attesa dell’altro amante o amico, come fosse l’attesa di un volo d’uccelli, l’illusione di una via che si apre di fronte e sé. Di qui la frustrazione di dover interpretare i segni di cui gli altri si fanno latori, evocando tanto promesse quanto minacce, disegnando un futuro in cui l’autore cerca di catturare la poca luce, di moltiplicarla.
Così lo scrittore e poeta raccoglie i frantumi di se stesso e prova a farne un caleidoscopio nel quale siamo invitati a guardare.
(Antonio Messano)